Art. da Art. estratto da
Idee In Psicoterapia
Vol.1 N.1, Alpes Ed., 2008
La
Psicoterapia
Cognitivo Interpersonale rappresenta un
approccio integrato, laddove al cognitivismo costruttivista
sistemico-processuale si associa, in particolare per quanto
riguarda l’esigenza clinica di trattare i pazienti con problemi relazionali,
l’apporto di Lorna Smith Benjamin, relativamente alle modalità di formulazione
del caso ed, altresì, relativamente ad aspetti dell’intervento
terapeutico, cosiddetto “ricostruttivo”.
A livello teorico, l’approccio si colloca entro la prospettiva epistemologica
postrazionalista, approfondendone gli aspetti relativi alla dimensione – che
potremmo dire “ermeneutica” – del rapporto con l’Altro nella costruzione del
significato. Proprio per questa ragione, per il valore dato alla relazione e al
ruolo che essa ricopre per la formazione della personalità, oltre che per
l’integrazione con la teoria di Benjamin, l’approccio esubera i limiti di una
valutazione esclusivamente relativa alla coerenza interna e alla complessità
della mente intesa come sistema di significati, per concentrarsi, maggiormente,
sulla linea di confine tra Sé e l’Altro che costituisce, nella proposta
Cognitivo Interpersonale, il luogo stesso di costituzione della vita psichica.
A livello clinico, la capacità di regolare la relazione terapeutica al fine di
comprendere la persona e favorirne il cambiamento è il requisito di base richiesto
al terapeuta che intende seguire tale approccio.
Consideriamo, infatti, le modalità di regolazione della relazione in termini di
costruzione e funzionamento della personalità, avvalendoci delle conoscenze
acquisite in campo cognitivista sul rapporto che intercorre fra storia di
sviluppo, stili di attaccamento, funzionamento psichico normale e patologico.
La convinzione sulla natura interpersonale della mente umana, rappresenta,
dunque, un’indicazione fondamentale per la comprensione della persona nonché per
la strutturazione del processo psicoterapeutico, oltre a una ragione per cui, a
livello teorico, ci si interessa di quel punto di contatto fra neuroscienze e
psicologia che è la coscienza, istanza psichica processuale che si evolve nella
relazione e rende l’essere umano diverso da ogni specie animale.
Le origini del modello Cognitivo Interpersonale
Il
nostro modello si colloca nel solco del percorso che la Scienza Cognitiva,
approccio multidisciplinare allo studio della mente, sta tracciando nel suo
incedere.
Partendo dal Cognitivismo, inteso quale movimento scientifico e filosofico, ove
si ritengono centrali, nello studio della mente umana, i processi cognitivi,
ovvero i processi attraverso i quali le informazioni sensoriali e motorie
vengono elaborate, divenendo strutture di significato, cioè pensieri,
sentimenti, emozioni, scopi, valori e altri elementi del nostro mondo mentale (Neisser,
1967, 1976), il modello Cognitivo
Interpersonale adotta una visione della mente che
sottolinea gli aspetti soggettivi che intervengono nella costruzione dei
significati (cfr. Kelly, Guidano). In senso Cognitivo
Interpersonale, misura di sanità mentale non sono l’aderenza e l’adattamento
soddisfacente alla realtà tramite la razionalità del pensare, ma la coerenza,
l’unicità e la continuità del proprio essere nel mondo e dei propri
significati, da cui derivano equilibrio e serenità: la metafora dell’uomo come
scienziato consente di immaginare nel costrutto l’elemento attivamente
predisposto per produrre previsioni e valutare l’andamento della propria
esperienzain relazione agli altri. Questa metafora di tipo popperiano, portata
nella psicologia da Michael Mahoney (1980), può essere utile
anche per descrivere i cambiamenti che occorrono nei “costrutti” su di sé e sul
mondo durante la psicoterapia, luogo in cui il cambiamento si esprime, in
stretta analogia a quanto accade per le rivoluzioni scientifiche secondo Kuhn.
Un approccio post-razionalista
In
un ottica costruttivista, come presentata da Gidano e Liotti
(1983) la conoscenza viene considerata, in
primo luogo, come il frutto dell’evoluzione biologica, da studiare secondo una
prospettiva evoluzionista. In secondo luogo essa viene compresa come il
prodotto di un processo dinamico, basato su modelli gerarchizzati, risultanti
dall’azione delle strutture conoscitive che plasmano l’esperienza della realtà.
Infine, il suo principio regolatore è individuato nella ricerca costante di
coerenza, tale che, nel momento in cui l’aumento dell’informazione costruisce
discrepanze nei vari modelli del reale, nuove strutture di gerarchizzazione dei
modelli vengono costruite. La componente inconscia della conoscenza, emotiva e
sensomotoria, regola, poi, la vita affettiva e immaginativa, fornendo le basi
per il senso di unicità e continuità, mentre la componente consapevole permette
l’esperienza e il senso dell’identità personale. La concettualizzazione del
“sé” emerge come entità dinamica nel processo di ordinamento delle strutture di
significato; la sofferenza soggettiva può allora essere riconducibile a
esperienze emotivo-immaginative generate da processi inconsci di conoscenza non
integrabili nella conoscenza consapevole del sé. Un sistema non integrato può
adottare procedure patogene di riduzione della sua complessità, al fine proprio
di gestire la mancata integrazione, peggiorando, tuttavia, la sua situazione e
dando luogo al comportamento patologico. Le scene escluse dall’elaborazione
potrebbero dunque essere, di conseguenza, proprio quelle più idonee ad
apportare una modificazione funzionale nei modelli interni. La psicoterapia ne
favorisce il recupero, all’interno di un’esperienza che può “riavviare” un
aumento della complessità e della flessibilità del sistema di significati (Bowbly,
1988), garanzia di maggiore sanità e benessere.
Si tratta di un cambiamento importante rispetto alla teoria standard, che
comporta il ricorso a una diversa epistemologia, ispirata alle teorie di Humberto Maturana e
Francisco Varela (1980), laddove vengono esplorate le analogie fra le capacità di
auto-organizzazione di un sistema vivente e della conoscenza umana (Guidano,
1987), arrivando a un approccio cosiddetto “post-razionalista” (Guidano,
1991).
Secondo la prospettiva post-razionalista, la tecnica psicoterapeutica non può
che derivare dalla riflessione epistemologica e, a riguardo, Guidano assume che
ognuno viva in una realtà personale squisitamente soggettiva, ordinata in modo
univoco e necessario dalle proprie strutture di significato in un processo
rigidamente autoreferenziale: perdendosi il riferimento ad una realtà esterna
conoscibile e interpretabile secondo categorie oggettive, il buon funzionamento
della mente umana rimane conseguenza delle strategie e delle modalità
strutturali e organizzative del sistema che dipendono a loro volta dalla
necessità di garantire una coerenza interna, un equilibrio omeostatico, dei
processi di autoregolazione del sistema stesso. Responsabile di tale coerenza è
il “Me”, struttura psichica distinta dall’”Io”, che ha il compito di modulare
l’esperienza immediata di sé, mentre il Me gestisce le perturbazioni del
sistema provocate dall’esperienza immediata e mantiene stabili le strutture di
significato che permettono la decodifica dell’esperienza. Gli elementi costitutivi
della struttura mentale sono i significati personali che, strutturandosi in
percorsi stabili e coerenti di attività cognitiva, emotiva e comportamentale,
danno luogo ad “Organizzazioni di Significato Personale”, cioè modi soggettivi
di vedere se stessi e il mondo e di interpretare l’esperienza. La storia
relazionale e affettiva dell’individuo è lo spazio in cui si articolano e si
accrescono tali Organizzazioni di Significato Personale; di conseguenza viene
sottolineato il ruolo del comportamento di attaccamento (Bowlby, 1969; 1973;
1980) nella loro genesi.
La coerenza della struttura di significato è conseguente alla sua articolazione
e integrazione interna e ciò che differenzia la normalità dalla psicopatologia
è, allora, la maniera con cui questa coerenza si declina nelle diverse
condizioni di salute mentale: in modo articolato e integrato nei soggetti
normali, in modo poco articolato, ma ancora integrato, nei disturbi della
cosiddetta area nevrotica, e in modo scarsamente articolato e integrato o,
raramente, eccessivamente integrato, nelle condizioni psicotiche.
Processi interpersonali e strutture intrapsichiche
La
Teoria Cognitivo Interpersonale prevede che le esperienze relazionali dei primi
anni di vita costituiscano la base su cui poggiano non solo importanti
relazioni che si svilupperanno in seguito, ma anche i vissuti soggettivi
secondo i quali l’individuo da senso al proprio modo di essere. In
quest’ottica, il pensiero di Lorna Benjamin, per cui gli schemi di
funzionamento dell’individuo hanno una forte connotazione interpersonale, ben
si accorda con il pensiero di Bowlby e, soprattutto, con una concezione
radicalmente costruttivista del cognitivismo. La Benjamin ci offre un modello
teorico e clinico cui guardare in special modo nella terapia del paziente
grave, laddove ella giunge ad affermare la possibilità di mettere in relazione
diretta i processi relazionali interpersonali alle strutture intrapsichiche.
La psicopatologia (ed in particolare la psicopatologia della personalità)
sarebbe il risultato di esperienze ripetute in contesti relazionali frustranti
e spiacevoli in cui non sarebbe permessa l’integrazione del controllo e della
libertà, dei confini e dell’autonomia.
Al contrario, esperienze positive e accoglienti, in condizioni di stabilità e
previdibilità consentirebbero alla persona di svilupparsi in modo sano,
costruendo una personalità adattata e sicura all’interno di una realtà
controllabile e gestibile.
Queste esperienze positive interiorizzate rappresentano le IPIR (Important Persons
and their Internalized Representations, Persone Importanti e le loro
Rappresentazioni Interiorizzate), laddove Bowlby indicava i Modelli Operativi
Interni (MOI). Analogamente, Horowitz (1991), afferma l’esistenza
di schemipersona capaci di riassumere le esperienze interpersonali del passato
e configurarsi come strutture di significato, organizzate gerarchicamente a
partire da moduli di conoscenza di sé e dell’altro, fino ad arrivare a schemi
di relazione (Modelli di Relazione di Ruolo – RRM – Role Relationship
Models). Si tratta, anche in questo caso, come per le IPIR, di schemi o modelli
che attengono all’intrapsichico, ma che trovano nella relazione interpersonale
il loro campo di operatività osservabile.
Nel contesto dei disturbi di personalità e dei problemi relazionali e
affettivi, principali campi di studio della Benjamin, la persona assume un
comportamento interpersonale disfunzionale non perché vuole interagire con le
persone che ha di fronte in un dato momento e non sa come farlo, ma perché mette
in atto uno o più “processi di copia”, cioè comportamenti che avevano avuto
luogo all’interno di una relazione di attaccamento problematica interiorizzata
dall’individuo, al fine di riavvicinarsi alla figura di attaccamento e di
ottenere da questa un amore incontaminato.
Di conseguenza, la terapia mira a rendere il soggetto consapevole del fatto che
è guidato da tali processi e a liberarsene apprendendo nuovi modi, più
funzionali, di relazionarsi a sé e agli altri.
La Teoria dell’Attaccamento e i Sistemi Motivazionali
Interpersonali
L’integrazione
del modello cognitivo con quello interpersonale avviene alla luce della teoria
dell’attaccamento intesa quale “meta modello”, che consente di fondare una
visione dell’individuo, in condizioni di benessere o in uno stato di
sofferenza, che conferisce un peso similare sia alle modalità emotive e
cognitive attraverso cui seleziona informazioni dall’ambiente, inserendole
entro le strutture di significato personale che attivamente costruisce, sia ai
processi relazionali che hanno luogo durante l’intera storia di sviluppo, entro
le quali gli stessi processi emotivi e cognitivi si sono andati formando. Lo
sviluppo dell’individuo può esser letto, infatti, come un’istanza processuale,
come un percorso fatto di stati di equilibrio successivi in ordine di
complessità, che ha origine nelle esperienze relazionali che hanno luogo sin
dal momento della nascita. I modelli operativi stabili e coerenti tendono a
stabilizzare uno stato mentale e gli eventi esterni e i processi di controllo
interni possono produrre un cambiamento, una perturbazione degli schemi. I
processi della percezione, della pianificazione e della formazione nonché dei
cambiamenti degli schemi permanenti per adattarsi a modelli operativi
ricorrenti, sono processi inconsci. Il gap tra i modelli operativi attivati
nelle situazioni e gli schemi permanenti, può produrre stati d’animo e
comportamenti disturbati. La persona che consapevolmente prova quello stato
d’animo può non capire a livello cosciente come e perchè questo si è presentato
(Horowitz, 1991). Scopo di molte psicoterapie è proprio il
riconoscimento consapevole delle funzioni degli schemi-persona di solito
inconsce. Gli schemi-persona, le IPIR, i MOI, così come le organizzazioni di
significato personale, definiscono una “stabilità instabile” che attiva il
circolo permanente di interazione reciproca tra le esperienze immediate e i
significati su di esse costruiti. La teoria dell’attaccamento, intesa in senso
lato come una teoria della natura interpersonale dell’esistenza umana, si può
porre, dunque, come base concettuale comune sia del modello Cognitivo che di
quello Interpersonale.
La valutazione del funzionamento del sistema mentale
dell’individuo
La
valutazione dello stato del funzionamento mentale di un paziente avviene
indagando una serie di aspetti. In primo luogo, le rappresentazioni che il
soggetto ha di se stesso, degli altri e del mondo, gli schemi di significato
che li hanno generati e che orientano i processi cognitivi e gli stati mentali
che nel panorama mentale costituiscono la maggior fonte di sofferenza. Vengono
indagate, poi, le funzioni della coscienza e il loro stato di funzionamento,
con le annesse capacità del soggetto di analisi e comprensione dei suoi stessi
contenuti mentali e di intervento su di essi. Si prendono quindi in esame le
relazioni interpersonali del soggetto, prestando particolare attenzione ai
cicli interpersonali prevalenti e ai “test” con cui il paziente sollecita e
mette alla prova la relazione col terapeuta [Perris C. (1994, 1996);
Semerari A. (1999); Safran J. D. - Segal Z. (1993); Weiss J. - Sampson H.
(1986); Weiss J. (1993)]. Sia nella fase di assestment che nella
psicoterapia, viene utilizzato,caratteristicamente, nel contesto Cognitivo
Interpesonale, lo strumento concettualizzato da Lorna Benjamin, ovvero
l’Analisi Strutturale del Comportamento Interpersonale (Benjamin, 1974),
che beneficia di oltre 25 anni di studi di validazione, è completamente
ateoretico, ed è pensato per aiutare il clinico nella diagnosi e nel trattamento
dei disturbi di personalità.
La valutazione clinica considera, in particolare, la storia di attaccamento,
laddove si considera che traumi, anomalie e sofferenze di varia natura possono
essere responsabili di danni alla funzionalità della coscienza, alla
strutturazione del Sé e alla capacità di stare in relazione. Relazioni precoci
di attaccamento con caratteristiche patologiche possono comportare, inoltre,
deficit nella capacità di monitorare i propri processi mentali, e quindi nella
consapevolezza dei propri pensieri, delle proprie emozioni, dei propri scopi e
bisogni, con conseguenti stati di vuoto.
Vengono indagate la Teoria della Mente del soggetto, ovvero la sua capacità di
comprensione dello stato emotivo altrui e di rappresentazione del proprio mondo
interiore, nonché le capacità associative, eventuali difficoltà di integrazione
sincroniche, con possibili fenomeni dissociativi e stati di incertezza e
confusione, e diacroniche, con possibili fenomeni di sfrangiamento,
frammentazione e perdita della trama narrativa degli eventi vissuti e della
propria storia. Compromissioni importanti sono tipiche dei disturbi mentali
gravi (psicosi e disturbi di personalità), laddove nella pratica clinica è
facile osservare come il paziente non riesca a sintonizzarsi con gli altri e
come queste disarmonie relazionali siano correlate a specifici deficit dei
processi metacognitivi (Perris, 1989; 1994; Semerari, 1999).
L’intervento psicoterapeutico Cognitivo Interpersonale
Lo
svolgimento dell’iter di psicoterapia, così come viene intesa dal modello
Cognitivo Interpersonale, prevede, anzitutto, la costruzione di un clima
collaborativo col paziente, laddove egli è visto come il principale esperto di
se stesso e dei suoi disturbi, mentre il terapeuta è il principale esperto
delle strategie e delle tecniche per risolverli.
Seguendo i concetti di Guidano, il processo terapeutico è volto, anzitutto,
verso una più evoluta articolazione e integrazione dei significati personali,
verso una maggiore complessità del sistema. Due dimensioni psicologiche
appaiono cruciali in tale prospettiva: la dipendenza/indipendenza dei processi
di elaborazione dal campo fenomenico e la prospettiva interna/esterna dalla
quale il soggetto esamina il suo funzionamento mentale. La terapia, perciò, è co-costruita
dal terapeuta e dal paziente in ogni aspetto: questa costruzione non è
valutabile, prevalentemente, in termini di verità, ma solo in quanto capace di
recuperare un benessere emotivo o di far elaborare al paziente delle narrazioni
della propria esperienza soggettiva più coerenti, articolate e ampie di quelle
che egli è in grado di fare. In questo contesto relazionale avviene la scoperta
guidata degli stati mentali problematici del paziente e dei meccanismi che li
hanno generati e li mantengono, facendo attenzione a regolare sempre l’alleanza
terapeutica e il buon funzionamento della coscienza in seduta, cercando di
migliorarli ogni volta.
In particolare, considerando la dimensione della regolazione della relazione
terapeutica, ci si sofferma su quegli schemi relazionali che impediscono di
attribuire un significato soggettivamente corretto all’esperienza; si tiene
conto che sia il paziente che il terapeuta interagiscono sulla base dei loro
sistemi motivazionali.
Questo fa sì che la terapia sia una collaborazione: la relazione terapeutica è
una relazione d’aiuto, che viene realizzata in un momento di vulnerabilità del
paziente che ne attiva il sistema dell’attaccamento. Entro tale relazione,
dunque, si manifesteranno le strutture cognitive della persona che sono
correlate all’attacamento.
Il terapeuta deve riuscire a cogliere i momenti in cui il paziente lo
rappresenta come una figura d’attaccamento, al fine di promuovere la
realizzazione di esperienze emozionali correttive delle relazioni d’attaccamento
abnormi e, in linea con le nuove acquisizioni provenienti da autori quali Weiss (1993) e Sampson (Weiss, Sampson,
1986), formarsi all’interazione relazionale sapendo prendere nella giusta
considerazione la capacità di rispondere in modo adeguato ai “test di
sicurezza” che il paziente gli muove. Tutto ciò, in particolare, nella terapia
del paziente grave, laddove la costruzione di momenti di condivisione è tra gli
obiettivi primari dell’intervento terapeutico. Solo in un secondo momento del
percorso terapeutico, la relazione evolverà verso gradi di maggiore simmetria,
in cui il sistema motivazionale interno attivato risulterà essere quello della
cooperazione paritetica, fino a che la terapia sarà conclusa con il terapeuta
nei panni di un “supervisore” di un paziente che sarà riuscito nel compito di
indossare, finalmente, la veste di “terapeuta di se stesso”.
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